Un’attenta riflessione sul dispositivo della sentenza recentemente pronunziata dal tribunale di Milano sul c.d. caso Tecnosistemi consente di svolgere talune brevi considerazioni tecniche sul percorso che ha portato i giudici alla pronuncia.
Il dott. Mario Mutti è stato difatti assolto da tutte le ipotesi di bancarotta documentale di Tecnosistemi e società del gruppo ed è stato anche assolto dall’accusa di aver determinato l’insolvenza di Tecnosistemi Group spa, anche con riferimento a tutte le contestazioni relative all’attività estera del gruppo di società.
La condanna attiene:
1)all’ipotesi di dissipazione per l’acquisto da parte di Tecnosistemi di “Sistemi di Energia” e “Service”, due aziende certamente assai ridotte rispetto alla realtà complessiva di un gruppo giunto in quell’epoca a fatturare circa 400 milioni di euro ed ad avere oltre 3.000 dipendenti in tutto il mondo, con un trand di sviluppo di almeno il 40% per anno;
2)alle ipotesi di distrazione per la cessione di complessi aziendali effettuata da Tecnosistemi negli anni 2000-2002 in favore delle società integralmente controllate: TFM, TSS, TFS, ICT.
La norma in concreto applicata attiene certamente ad un vecchio modo di intendere il reato di bancarotta, senza alcuna considerazione degli effetti della condotta sulla causazione dell’insolvenza, che difatti anche per i giudici milanesi evidentemente non dipende dal dott. Mutti.
Bisogna a questo proposito considerare che impropriamente si è parlato in questo caso di fallimento. Infatti è stata semplicemente dichiarata l’insolvenza delle società del gruppo, che è stato ammesso alla c.d. amministrazione straordinaria proprio in presenza di accertate possibilità di recupero: l’insolvenza consiste quindi in una situazione di crisi dalla quale è possibile sollevarsi, il fallimento invece rappresenta una situazione assolutamente irreversibile, sia giuridicamente che economicamente.
L’ipotesi ritenuta dalla sentenza (art. 223, 1 comma L.F. in relazione all’art. 216 della stessa legge) attiene a semplici ipotesi di “distacco” o di “dissolvimento-dispersione” patrimoniale, delle quali la prima riguarda Tecnosistemi Group spa, e cioè la capogruppo, e la seconda le società controllate.
La ratio dell’incriminazione consiste nel pericolo di pregiudizio (o nella presunzione di pericolo) per le ragioni dei creditori in presenza di dolo generico, cioè di coscienza e volontà di compiere ex ante (cioè al momento dei fatti) atti che pongono in pericolo le ragioni dei creditori.
Per tale natura il reato può essere commesso esclusivamente da chi assuma la qualità di amministratore, direttore generale o liquidatore delle varie società. Ciò che ha indotto la dottrina ad includere la bancarotta tra i reati propri.
Ciò detto balza agli occhi, al di là della apparente condanna, la reale portata della condotta addebitata al dott. Mutti e risulta possibile svolgere allo stato le seguenti brevi considerazioni:
a)il dott. Mutti, cui non è possibile addebitare l’insolvenza (e non il fallimento) del gruppo, è stato esclusivamente amministratore della Tecnosistemi Group spa, ciò che lo pone completamente al di fuori dal perimetro dei destinatari della norma penale per gli eventuali casi di dissipazione delle società controllate;
b)il dott. Mutti nei casi di cui sopra ha preso posizione dal lato esattamente opposto del rapporto contrattuale, avendo egli amministrato la società conferente, Tecnosistemi Group spa;
c)la dissipazione patrimoniale delle controllate è comunque negata dalla perdurante responsabilità della capogruppo ex art. 2497 c.c. e dall’interesse compensativo ex art. 2364, comma 3 c.c.: si è semplicemente trattato di una allocazione di un ramo di azienda all’interno delle controllate per sottoscrivere aumenti di capitale volta per volta deliberati al loro interno da parte dei vari Consigli di amministrazione. In quest’ottica la corrispettività che sussiste tra il conferimento e l’acquisto del capitale sociale delle controllate nega oggettivamente e soggettivamente il reato. Si tratta innegabilmente di operazioni intercompany, che per loro essenza non determinano un maggior pericolo di danno, poiché debitore è sempre il medesimo patrimonio sostanziale;
d)gli acquisti aziendali di Sistemi di Energia (Carini 140 persone) e di Service – 37 persone- sono avvenuti in epoca di maggiore espansione del gruppo di società, senza quindi una previsione dissipatoria o distrattiva. Gli acquisti sono avvenuti per cifre assai ridotte, in situazione di grande e documentato sviluppo potenziale, si tratta di semplici modalità esecutive del più grande acquisto di Italtel Sistemi spa, compiuto da una cordata di investitori guidata dal dott. Mutti nell’anno 1999, per il cui affare il dott. Mutti è stato assolto con formula più che liberatoria.
Le resistenze che in Italia si sono registrate per adeguare anche nell’interpretazione, il diritto interno alla nuova realtà economica della holding passano anche attraverso pronunce, come quella in parola, che considera le società come entità giuridicamente autonome, svincolate dal contesto economico del gruppo di società. Ciò che ancora ai tempi attuali, anche a seguito delle riforme del diritto societario e fallimentare, irrobustice una certa resistenza ad interpretare il diritto in chiave moderna, maggiormente orientata verso la comprensione di realtà economiche sovranazionali, come è il caso di Tecnosistemi.
La giustizia è pur sempre umana ed è buona norma quella di attendere la motivazione prima di esprimere giudizi. Diversamente le sentenze non sarebbero mai riformabili in appello o in cassazione, così come invece lo sono per definizione.
Tuttavia mai come in questo caso mi pare di poter esprimere la sensazione (o forse anche qualcosa di più concreto) che nell’appello il dott. Mario Alfonso Mutti avrà molte frecce al suo arco.
24 novembre 2009
Alessandro Dedoni, avvocato
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